Fare sport fa bene alla città

12,00

di Stefano Munarin, Nicolò Fattori, Elena Orsanelli

“Fare sport” al giorno d’oggi porta inevitabilmente a occuparsi della città e del suo paesaggio, delle pratiche collettive e dei processi di trasformazione sociale ed economica che coinvolgono i luoghi della familiarità, considerando lo sport in un’accezione più ampia che non si limita a quell’insieme di discipline agonistiche o amatoriali, ma che più in generale pensa al movimento del corpo all’interno di uno spazio.
In questo senso “fare sport” significa parlare di città, attraversare gli spazi e le attrezzature pubbliche che caratterizzano la nostra quotidianità, per poi ampliare lo sguardo verso la Città Metropolitana di Venezia. Si riflette, quindi, sul ruolo che lo sport ha nel miglioramento del benessere individuale e collettivo, nell’aumento di pratiche di socializzazione e, in particolare, su come attrezzature e supporti materiali delineano spazi in grado di accogliere politiche in continua trasformazione.

 

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Fare sport fa bene alla città
Tra mobilità attiva e spazi collettivi: ricerche e riflessioni a partire dal territorio metropolitano di Venezia

Tipologia Raccolta di saggi

Genere  Saggistica

ISBN 979-12-5953-029-5

Edizione ottobre 2022

Lingua Italiano

Formato 14,8 x 21 cm

Bandelle 10 cm

Pagine 108

Stampa Colore

Formati disponibili

Cartaceo brossura filo refe

Anteprima - Indice

Nel 2016 sono stato chiamato dall’allora rettore Alberto Ferlenga a svolgere l’attività di “delegato allo sport” (cui si sono poi aggiunte le deleghe al diritto allo studio e all’inclusione sociale) e fin da subito mi sono chiesto che significato e ruolo possano e debbano avere queste deleghe in un’università che, ponendo al centro le “culture del progetto”, presta particolare attenzione alla città e al territorio, al progetto degli spazi, dei manufatti e degli stessi abiti entro cui ci muoviamo con i nostri corpi, ai problemi posti dalle questioni ambientali e alla necessità di immaginare nuovi modelli di sviluppo sostenibile.

Ho iniziato questa attività pensando sempre che il termine “sport” per come viene comunemente inteso oggi mi sta un po’ stretto e, riprendendo l’ormai classico Homo ludens di Johan Huizinga con la densa introduzione all’edizione italiana di Umberto Eco1, preferisco ricordare che trova le sue radici nell’idea di “attività ludico/collettive fuori dalle mura cittadine”, di “disport” e “desport”, nell’idea di mettere “in gioco” il corpo, o meglio i corpi, in un’attività collettiva. Mi piace riconoscere le sue plurali dimensioni: da un lato è oggi “il più grande spettacolo del mondo” (lo spettacolo più seguito, condiviso e inclusivo al mondo, con i suoi riti e conflitti di potere) e dall’altro una pulviscolare pratica collettiva, organizzata e spontanea, che si svolge dentro e fuori i luoghi deputati, negli impianti ma anche all’aperto, nella città e nel territorio, diventando pratica di riscoperta e quindi di ridisegno (reinvenzione) del paesaggio.

Stefano Munarin, Introduzione

 

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